Quando
nel 1994 i Downset pubblicarono il loro omonimo esordio avevo 14 anni
ed ero un metallaro sfegatato. AC/DC, Iron Maiden, Judas Priest,
Megadeth, Metallica, Pantera e Death erano il mio pane quotidiano e,
da devoto adoratore del verbo Heavy Metal qual ero, difficilmente mi
discostavo da quel tipo di estetica. Ricordo però che tra i miei
amici non c'erano solo metallari come me, ma anche rappers, e ricordo
anche quanto fosse difficile per degli adolescenti che facevano della
musica, soprattutto di un particolare tipo di musica, la propria
ragione di vita, convivere con qualcuno che professasse una diversa
fede musicale. Ma in quel periodo iniziai a familiarizzare con altri
tipi di linguaggio: con il Grunge per esempio, con l'Hardcore (avevo
una copia di Recipe For Hate dei Bad Religion e di 100% dei
Negazione, due dischi che adoravo), e con quella bizzarra
contaminazione che tutti chiamavano Rap-Metal o Rap-Core (conoscevo i
Body Count, i R.A.T.M. e a volte sul mio stereo girava Bring The
Noise, nella grottesca versione che i Public Enemy incisero con
gli Anthrax).
In
particolare con quest'ultimo genere ebbi un rapporto di amore-odio.
Mi ci avvicinai gradualmente e lo feci con i piedi di piombo. Da un
lato faticavo ad accettare che l'Heavy Metal venisse contaminato da
un genere al quale avevo dichiarato tutto il mio odio, dall'altro non
riuscivo a raggiungere un compromesso con me stesso: "era la
trovata del secolo o la più grande idiozia che l'uomo avesse mai
sperimentato?". Ovviamente l'ago della bilancia era fortemente
sbilanciato a favore della seconda opzione e furono ben pochi i
gruppi che mi spinsero a dedicare un po' del mio tempo a questo
genere. Tra questi gruppi ci furono sicuramente i Downset.
Li
conobbi un anno dopo, nel 1995, quando io e i miei amici decidemmo di
sotterrare l'ascia di guerra iniziando quel processo di conversione
che ci vide tutti uniti (rappers e metallari) sotto la comune
bandiera dell'allora imperante revival punk, e diventammo degli
skaters. Incredibile quanto gli adolescenti sappiano essere al tempo
stesso così intransigenti quando si tratta di difendere i propri
"ideali", ma così volubili quando si tratta di sostituirli con altri più alla moda. E tutto con la più assoluta naturalezza. A
comporre la colonna sonora delle nostre scorribande sullo skateboard
ci pensarono i vari Offspring, NOFX e Pennywise, ma anche gruppi
storici che si andavano via via riscoprendo (I Ramones per esempio) e
ovviamente Anger, il singolo dei Downset estratto dal disco di
esordio che spopolava in tutte le discoteche di rock alternativo.
Do
We Speak A Dead Language? uscì nel 1996, ma ne comprai una copia
e la ascoltai in maniera approfondita solo qualche anno dopo. Avevo
letto varie recensioni sul disco (soprattutto quella entusiasta di
Rumore) e conoscevo la sua fama, ma l'impressione che ne ebbi
fu al di sopra di ogni aspettativa. Rispetto all'esordio, che
fondamentalmente aveva una canzone degna di nota (Anger appunto)
mentre le restanti erano piatte fotocopie l'una dell'altra, avevo
l'impressione che qui invece ogni brano fosse dotato di una
personalità ben definita che lo distingueva dagli altri. E questa
impressione cresceva ad ogni ascolto. E' uno dei pochi album del
genere Rap-Metal o Rap-Core che sono riuscito ad apprezzare (e
tutt'ora apprezzo) nella sua interezza, dalla prima all'ultima nota.
I motivi sono svariati.
Nel
disco c'erano ovviamente due delle mie più grandi passioni di allora
e di sempre, il Metal (il primo amore non si scorda mai!) e
l'Hardcore, che nel frattempo avevo avuto modo di approfondire
(Spaziavo dai Bad Brains, ai Minor Threat fino ad arrivare ai Gorilla
Biscuits e agli Yuoth Of Today), sapientemente fusi con l'irruenza
verbale e la carica al vetriolo del Rap. Ma la combinazione di questi
tre elementi avveniva in maniera del tutto fluida e naturale, niente
a che vedere con i primi sbilenchi esperimenti di fusione tra Rock e
Rap. Insomma era come se gli Slayer, i Black Flag e i Public Enemy si
fossero fusi in un'unica band.
Se
andiamo poi ad inserire il tutto all'interno del giusto contesto
sociale, potremo avere un'idea ben precisa del significato di questo
disco in particolare e della band in generale. Ancor più che in
altri casi infatti, le coordinate geografiche sono importanti, anzi
fondamentali, per comprendere le coordinate stilistiche del gruppo.
Ci troviamo nella Los Angeles dei quartieri bassi e dei ghetti,
segnati dalla criminalità, dalla rivalità tra bande e da profondi
conflitti razziali.
"Graffin'
up in L.A. you can't act stupid and play, striking up in the wrong
hood could mean your last day. Most every set has a block and every
block has a mad set. With sick evil fools who love to see blood-hit
pavement." (Pocket Full Of Fatcaps).
E'
proprio da questi elementi che i Downset, fortemente legati alle
proprie radici, prendono spunto per i loro testi e la loro musica. Il
sound è teso allo spasimo e spara raffiche di riffs roventi, mentre
la voce di Rey Oropeza è una furia cieca scagliata contro i mali che
affliggono la sua città.
Scaglaita
contro i pregiudizi: "All are guilty of judgment and seeing
what we only want to see, And the dangers of false pedestals is
illusive self-moral supremacy, So quick to magnify the faults inside
of one another, Then the flames of out own darkness can ignite and we
become what we fear. Cast you judgment! Hurl a stone!" (Hurl
A Stone);
Scagliata
contro la disugualianza sociale: "They taken the food from
the mouths of the ones that need to be the most fed! […] Poverty is
the worst form of violence! I am not a lower form of human life!"
(Sickness);
Scagliata
contro l'insensata violenza che imperversa nelle strade: "So
cheap a death but my brother so precious is life, speaking the
language of fratracidal sights, You do like "Cain" did
"Able" you love to watch your brother's blood." (Eyes
Shut Tight).
I
sintomi sono quelli di una società avviata verso l'estinzione, una
società che non conosce più il significato della mediazione e della
diplomazia come strumenti di risoluzione dei conflitti, ormai capace
solo di reiterare gli stessi folli gesti di autodistruzione. La
parola, da sempre strumento attraverso il quale si esprime la
civiltà, viene dunque a perdere il suo potere comunicativo per
essere relegata a mero ornamento. Ecco il significato della domanda
che da il titolo al disco. Ma la soluzione non è la rassegnazione e
l'invito è quello di alzare la testa e prendere coscienza delle
proprie capacità:
"We
must belive on our trust potential, Our life has the true meaning and
value of now, Our only hope today lies in our ability to lift
ourselves from this ever-rising hell! Take your life back! Give me
life to live!" (Empower).
Proprio
perchè profondamente ancorata al tessuto sociale che l'ha generata
la critica sociale dei Downset è concreta, è frutto
dell'osservazione diretta della realtà circostante che viene
filtrata attraverso la sensibilità dell'individuo. Questo
contribuisce a dare al messaggio che ne deriva una valenza oltre che
esteriore anche e soprattutto interiore. E l'interiorità emerge in
tutte le sue componenti: quella emotiva, quella morale e quella
spirituale.
La
componente emotiva è rappresentata dalla rabbia che scaturisce dal senso di impotenza di fronte alle contraddizioni della società: "Hate's
piercing sound disfigures the soul in the stream of my tears. I lay
in their mold." (Touch);
Ma
la rabbia rischia di divoraci se non è guidata dal profondo senso
morale che spinge l'uomo ad agire/reagire: "My spirit is
already tired of the psychological cadence of poverty. Now I take my
hands from my eyes and look at reality. And why do we accept
subservient positions without question?" (Sangre De Mis
Manos);
Piaccia
o meno, nel disco trova espressione anche una certa dimensione
spirituale che si esprime attraverso una profonda fede in Dio: "I
will love God of Zion with all my heart and you will hate me for it!
[…] Your world is against the spirits! This day is against the
spirits!" (Against The Spirits).
Questo
disco rappresenta in definitiva il canto del cigno dei Downset, che
non riusciranno più a raggiungere livelli così elevati. Un disco
che, nonostante i suoi meriti , non è riuscito a portarli al
successo ottenuto dai colossi del genere, i Rage Against The Machine.
Il destino li volle inseguitori, destinati a vivere all'ombra di
questa band e a subirne (ingiustamente) il confronto. Inutile dire
che esistono profonde differenze tra le due band e ancora più
inutile sarebbe elencarle, tanto ormai la storia è stata scritta. A
causa di problemi discografici poi, dovettero aspettare 4 anni prima
di pubblicare il seguito, Check Your People (2000) che, mostrando qualche timida apertura verso il Nu Metal, non seppe però lasciare un
segno decisivo all'interno di un mercato ormai saturo e decisamente inflazionato. Alla luce di questo, risulta ancora più inutile la recente
Reunion, ma questa è un'altra storia.