lunedì 21 settembre 2015

Retromania III: Downset - Do We Speak A Dead Language? (1996)


Quando nel 1994 i Downset pubblicarono il loro omonimo esordio avevo 14 anni ed ero un metallaro sfegatato. AC/DC, Iron Maiden, Judas Priest, Megadeth, Metallica, Pantera e Death erano il mio pane quotidiano e, da devoto adoratore del verbo Heavy Metal qual ero, difficilmente mi discostavo da quel tipo di estetica. Ricordo però che tra i miei amici non c'erano solo metallari come me, ma anche rappers, e ricordo anche quanto fosse difficile per degli adolescenti che facevano della musica, soprattutto di un particolare tipo di musica, la propria ragione di vita, convivere con qualcuno che professasse una diversa fede musicale. Ma in quel periodo iniziai a familiarizzare con altri tipi di linguaggio: con il Grunge per esempio, con l'Hardcore (avevo una copia di Recipe For Hate dei Bad Religion e di 100% dei Negazione, due dischi che adoravo), e con quella bizzarra contaminazione che tutti chiamavano Rap-Metal o Rap-Core (conoscevo i Body Count, i R.A.T.M. e a volte sul mio stereo girava Bring The Noise, nella grottesca versione che i Public Enemy incisero con gli Anthrax).
In particolare con quest'ultimo genere ebbi un rapporto di amore-odio. Mi ci avvicinai gradualmente e lo feci con i piedi di piombo. Da un lato faticavo ad accettare che l'Heavy Metal venisse contaminato da un genere al quale avevo dichiarato tutto il mio odio, dall'altro non riuscivo a raggiungere un compromesso con me stesso: "era la trovata del secolo o la più grande idiozia che l'uomo avesse mai sperimentato?". Ovviamente l'ago della bilancia era fortemente sbilanciato a favore della seconda opzione e furono ben pochi i gruppi che mi spinsero a dedicare un po' del mio tempo a questo genere. Tra questi gruppi ci furono sicuramente i Downset.
Li conobbi un anno dopo, nel 1995, quando io e i miei amici decidemmo di sotterrare l'ascia di guerra iniziando quel processo di conversione che ci vide tutti uniti (rappers e metallari) sotto la comune bandiera dell'allora imperante revival punk, e diventammo degli skaters. Incredibile quanto gli adolescenti sappiano essere al tempo stesso così intransigenti quando si tratta di difendere i propri "ideali", ma così volubili quando si tratta di sostituirli con altri più alla moda. E tutto con la più assoluta naturalezza. A comporre la colonna sonora delle nostre scorribande sullo skateboard ci pensarono i vari Offspring, NOFX e Pennywise, ma anche gruppi storici che si andavano via via riscoprendo (I Ramones per esempio) e ovviamente Anger, il singolo dei Downset estratto dal disco di esordio che spopolava in tutte le discoteche di rock alternativo.

Do We Speak A Dead Language?
uscì nel 1996, ma ne comprai una copia e la ascoltai in maniera approfondita solo qualche anno dopo. Avevo letto varie recensioni sul disco (soprattutto quella entusiasta di Rumore) e conoscevo la sua fama, ma l'impressione che ne ebbi fu al di sopra di ogni aspettativa. Rispetto all'esordio, che fondamentalmente aveva una canzone degna di nota (Anger appunto) mentre le restanti erano piatte fotocopie l'una dell'altra, avevo l'impressione che qui invece ogni brano fosse dotato di una personalità ben definita che lo distingueva dagli altri. E questa impressione cresceva ad ogni ascolto. E' uno dei pochi album del genere Rap-Metal o Rap-Core che sono riuscito ad apprezzare (e tutt'ora apprezzo) nella sua interezza, dalla prima all'ultima nota. I motivi sono svariati.
Nel disco c'erano ovviamente due delle mie più grandi passioni di allora e di sempre, il Metal (il primo amore non si scorda mai!) e l'Hardcore, che nel frattempo avevo avuto modo di approfondire (Spaziavo dai Bad Brains, ai Minor Threat fino ad arrivare ai Gorilla Biscuits e agli Yuoth Of Today), sapientemente fusi con l'irruenza verbale e la carica al vetriolo del Rap. Ma la combinazione di questi tre elementi avveniva in maniera del tutto fluida e naturale, niente a che vedere con i primi sbilenchi esperimenti di fusione tra Rock e Rap. Insomma era come se gli Slayer, i Black Flag e i Public Enemy si fossero fusi in un'unica band.
Se andiamo poi ad inserire il tutto all'interno del giusto contesto sociale, potremo avere un'idea ben precisa del significato di questo disco in particolare e della band in generale. Ancor più che in altri casi infatti, le coordinate geografiche sono importanti, anzi fondamentali, per comprendere le coordinate stilistiche del gruppo. Ci troviamo nella Los Angeles dei quartieri bassi e dei ghetti, segnati dalla criminalità, dalla rivalità tra bande e da profondi conflitti razziali.

"Graffin' up in L.A. you can't act stupid and play, striking up in the wrong hood could mean your last day. Most every set has a block and every block has a mad set. With sick evil fools who love to see blood-hit pavement." (Pocket Full Of Fatcaps).

E' proprio da questi elementi che i Downset, fortemente legati alle proprie radici, prendono spunto per i loro testi e la loro musica. Il sound è teso allo spasimo e spara raffiche di riffs roventi, mentre la voce di Rey Oropeza è una furia cieca scagliata contro i mali che affliggono la sua città.

Scaglaita contro i pregiudizi: "All are guilty of judgment and seeing what we only want to see, And the dangers of false pedestals is illusive self-moral supremacy, So quick to magnify the faults inside of one another, Then the flames of out own darkness can ignite and we become what we fear. Cast you judgment! Hurl a stone!" (Hurl A Stone);

Scagliata contro la disugualianza sociale: "They taken the food from the mouths of the ones that need to be the most fed! […] Poverty is the worst form of violence! I am not a lower form of human life!" (Sickness);

Scagliata contro l'insensata violenza che imperversa nelle strade: "So cheap a death but my brother so precious is life, speaking the language of fratracidal sights, You do like "Cain" did "Able" you love to watch your brother's blood." (Eyes Shut Tight).

I sintomi sono quelli di una società avviata verso l'estinzione, una società che non conosce più il significato della mediazione e della diplomazia come strumenti di risoluzione dei conflitti, ormai capace solo di reiterare gli stessi folli gesti di autodistruzione. La parola, da sempre strumento attraverso il quale si esprime la civiltà, viene dunque a perdere il suo potere comunicativo per essere relegata a mero ornamento. Ecco il significato della domanda che da il titolo al disco. Ma la soluzione non è la rassegnazione e l'invito è quello di alzare la testa e prendere coscienza delle proprie capacità:

"We must belive on our trust potential, Our life has the true meaning and value of now, Our only hope today lies in our ability to lift ourselves from this ever-rising hell! Take your life back! Give me life to live!" (Empower).

Proprio perchè profondamente ancorata al tessuto sociale che l'ha generata la critica sociale dei Downset è concreta, è frutto dell'osservazione diretta della realtà circostante che viene filtrata attraverso la sensibilità dell'individuo. Questo contribuisce a dare al messaggio che ne deriva una valenza oltre che esteriore anche e soprattutto interiore. E l'interiorità emerge in tutte le sue componenti: quella emotiva, quella morale e quella spirituale.

La componente emotiva è rappresentata dalla rabbia che scaturisce dal senso di impotenza di fronte alle contraddizioni della società: "Hate's piercing sound disfigures the soul in the stream of my tears. I lay in their mold." (Touch);

Ma la rabbia rischia di divoraci se non è guidata dal profondo senso morale che spinge l'uomo ad agire/reagire: "My spirit is already tired of the psychological cadence of poverty. Now I take my hands from my eyes and look at reality. And why do we accept subservient positions without question?" (Sangre De Mis Manos);

Piaccia o meno, nel disco trova espressione anche una certa dimensione spirituale che si esprime attraverso una profonda fede in Dio: "I will love God of Zion with all my heart and you will hate me for it! […] Your world is against the spirits! This day is against the spirits!" (Against The Spirits).

Questo disco rappresenta in definitiva il canto del cigno dei Downset, che non riusciranno più a raggiungere livelli così elevati. Un disco che, nonostante i suoi meriti , non è riuscito a portarli al successo ottenuto dai colossi del genere, i Rage Against The Machine. Il destino li volle inseguitori, destinati a vivere all'ombra di questa band e a subirne (ingiustamente) il confronto. Inutile dire che esistono profonde differenze tra le due band e ancora più inutile sarebbe elencarle, tanto ormai la storia è stata scritta. A causa di problemi discografici poi, dovettero aspettare 4 anni prima di pubblicare il seguito, Check Your People (2000) che, mostrando qualche timida apertura verso il Nu Metal, non seppe però lasciare un segno decisivo all'interno di un mercato ormai saturo e decisamente inflazionato. Alla luce di questo, risulta ancora più inutile la recente Reunion, ma questa è un'altra storia.

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