Tornano i Bachi Da
Pietra. Il duo infatti ha appena pubblicato il suo sesto album in
studio, Necroide, che compie
un ulteriore passo avanti verso quei territori estremi che il suo
predecessore, Quintale
del 2013, lasciava intravedere. Ma
se prima i nostri si muovevano sulla rotta di uno stoner/blues acido
e graffiante, ora a farla da padrone è l'Heavy Metal, in tutte le
sue manifestazioni, soprattutto quelle più sanguigne e veraci. La
scelta è indubbiamente funzionale a quelli che rimangono i punti forti della band, ovvero quel gusto noir e quell'ironia beffarda che si potevano apprezzare nei solchi del precedente album. Ma se la
band non è del tutto estranea a un certo umorismo, qui lo humor si fa parodia e la parodia diventa il pretesto per rendere omaggio ad un intero genere, l'Heavy Metal appunto, che
viene messo alla mercé dell'ascoltatore e sviscerato in tutti i suoi
cliché, sia stilistici che contenutistici.
Il sound è quindi
volutamente stereotipato, come le macchiette di uno squallido
teatrino di strada, mentre la verve vocale resta quella di sempre con
l'aggiunta, per l'occasione, di qualche suono gutturale in più. Si
parte con gli oscuri e veloci riff di Black Metal Il Mio Folk che,
con il suo proclama, sembra fare il verso agli “inni di battaglia”
di certe band scandinave (“Ora è la tua terra quella che si
strazia, ora è la tua casa quella che si devasta […] Black Metal
il mio folk, combatti nel nome del Rock 'n' Roll”). Si prosegue
poi con il mid-tempo di Slayer & The Family Stone e con il
riff pseudo-Thrash di Fascite Necroide che riporta alla mente i Venom (“Fascite Necroide, ha un nome perfetto e beffardo la
morte”), per passare attraverso l'Hard Rock di Tarli
Mai, la cavalcata eighties di Voodooviking e il
pacchiano growl di Feccia Rozza, per giungere a Cofani
Funebri (“Fernando ha un calendario nella sua strana
officina, dice che ha più carne buona appesa lui del macellaio”), un tributo al Doom Metal più funereo e sepolcrale. Il gelido
folk di Sepolta Viva e l'Hardcore violento di Danza
Macabra, con la loro cupa ventata necrofila, concludono il disco.
Risulta
difficile dunque non vedere questo disco come una semplice trovata
goliardica o un divertente e bizzarro omaggio ad un genere musicale, seppur impreziosito da quella sagacia che è tipica dei Bachi Da Pietra. Ed è ancor più difficile non rimpiangere le
interessanti evoluzioni che Quintale ci aveva prospettato,
oltre che la sua originalità. Come si fa poi a non sentire la
mancanza di quel blues scarno e minimalista che ha contraddistinto le
produzioni precedenti. Ma, conoscendo i Bachi Da Pietra, è
verosimile pensare che questa sia solo una fase transitoria o una
fugace tappa di un percorso evolutivo che potrebbe sorprenderci
nuovamente in futuro.
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