domenica 13 settembre 2015

Emidio Clementi - Notturno Americano (2015)

Un gigantesco mostro che fagocita i sogni, divora le speranze, e se ne nutre. Così doveva apparire l'America ai poveri disperati che all'inizio del novecento abbandonavano la propria terra in cerca di una vita migliore. 

"E' il 1914 quando Carnevali scende dalla nave, prende la rincorsa e spicca il volo. Accarezza il sogno, ma non riesce a stringere la presa".

Così inizia la nostra storia, una storia vera, la storia di Emanuel Carnevali che all'età di 16 anni, in fuga dal padre autoritario e da una vita opprimente, giunge negli Stati Uniti per inseguire e coltivare la sua passione per la letteratura. Ma questo incipit, lapidario come una sentenza di morte, racchiude in sè l'amaro sapore della sconfitta che incombe su questa tragica vicenda umana.
New York, la città tanto sognata, con i suoi quartieri e le molteplici etnie che li abitano, con i suoi grattacieli e "con le sue case dalle piccole finestre", con il suo sfarzo e la sua povertà, mostra le sue profonde contraddizioni: "certe vie erano come le autostrade del paradiso, altre come i vicoli bui dell'inferno". La grande metropoli ha visto infrangersi i desideri di riscatto di molti disperati, per i quali il sogno americano non si è avverato. Per i poveri e per i disadattati la sopravvivenza è costantemente minacciata dalla precarietà e il lavoro diventa un'ossessione: "Il lavoro. Questa miserabile faccenda, il lavoro. L'incubo dei perseguitati. [...] Questa paura che ti afferra lo stomaco. [...] Il pensiero di perdere il lavoro mi portava alla disperazione".
L'approdo nel nuovo mondo si rivela dunque un naufragio e Carnevali si ritrova in una terra ostile, a combattere per affermarsi come scrittore e poeta: "America! Quasi riuscisti a schiacciarmi, ma io ogni tanto mi rimettevo in piedi, riprendevo a combattere". Passando da un espediente all'altro e accettando svariati lavori che non riesce a conservare, tocca con mano il degrado e la disperazione, vedendo sfumare giorno dopo giorno il suo sogno. Per sbarcare il lunario fà il lavapiatti, il garzone, il cameriere: "Oh, poveri cavalieri erranti del piacere, i camerieri. Lupi addomesticati che portano piatti di carne che non osano toccare".
Ma l'uomo non è fatto solo di istinti e di pulsioni da soddisfare, la sua vita non può ridursi alla mera sussistenza. Egli è dotato di intelletto e di volontà che lo spingono ad innalzarsi al di sopra dello stato di bestia: "C'era sempre una luce accesa che mi guidava attraverso l'America, questo paese al buio. Sapevo di essere un poeta e covavo nel mio animo la voglia di scrivere".
La delusione per il crudele rifiuto da parte della grande metropoli, porta all'inevitabile fuga ("In quegli ultimi giorni a New York avevo sofferto parossismi di pensiero [...] E fu allora che avvertì questo terribile fuoco che è dentro di me, un fuoco che tenta continuamente di sfuggirmi di mano..."), anche se ben presto la vita nella nuova città, Chicago, si rivela anonima e priva di stimoli ("...Nessuna attività febbrile trovai invece a Chicago"). Mentre i giorni si trascinano nella più assoluta disillusione, si finisce col perdere ogni contatto con la realtà, precipitando nel baratro della follia. E quando anche l'amore decide di chiuderti le porte in faccia, tutto ciò che ti resta è la rassegnazione ("Così vanno le cose e così precisamente devono andare").
L'epilogo si svolge in uno squallido locale di Milwaukee dove, per l'ultima volta, "Carnevali sperimenta la fragile consistenza di un palco". Egli decide di declamare le sue poesie di fronte ai clienti del locale. Ma quando il destino ti ha condannato ad essere un incompreso sai che, per quanto tu ti possa sforzare, sarai sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Di fronte all'indifferenza del pubblico nei confronti del suo componimento "Lo splendido luogo comune", Emanuel Carnevali "si rende conto di avere perso la partita, ma invece di andarsene sente il bisogno di immolarsi" e, per attirare l'attenzione degli astanti, finisce per farsi esso stesso luogo comune: "Amici ascoltatemi vi prego, per favore, ancora un momento. Non ve l'ho detto, sono italiano. Voi lo sapete cosa fanno gli italiani tutto il giorno, vero? Cantano. E io, io canterò per voi". E' la disfatta. Le grida di scherno che accompagnano le note di Funiculì Funiculà hanno l'amaro sapore della sconfitta.

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