Il
termine Slowcore fa riferimento all'opera di destrutturazione
compiuta tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta dagli
Slint (in parte con Tweez, ma soprattutto con Spiderland)
ai “danni” dell'Hardcore che, sotto i colpi inferti dalla band,
finì per mutare forma, perdendo gradualmente la velocità che lo
aveva sempre contraddistinto, fino a dilatarsi a dismisura e ad
assumere nuove forme espressive, fatte di lunghe divagazioni
strumentali e soffusi movimenti dal vago sapore meditativo (preludio
alla nascita del Post-Rock).
Nel frattempo i loro
contemporanei Codeine, provenienti da New York, stavano portando
avanti un analogo discorso, dando così un forte contributo alla
formazione del genere, e ben presto il termine Slowcore, detto anche
Sadcore, venne attribuito ad altre band del circuito Indie Rock
americano che nelle proprie composizioni prediligevano atmosfere
rarefatte, ritmi rallentati e un certo mood malinconico (Tra queste
possiamo citare i Red House Painters, i Low e gli Idaho).
Codeine – Frigid
Stars (1990). Con questo
esordio i Codeine hanno decretato definitivamente la morte del Rock
così come lo si conosceva fino ad allora. Rinunciando
all'irriverenza, ai ritmi incalzanti e alla carica graffiante, il
Rock con i Codeine smette di essere mero strumento di provocazione e,
ripiegando su stesso, diventa veicolo di una nuova sensibilità
artistica, votata all'introspezione e all'intimismo. I ritmi sono
iper-rallentati, la voce è una monotona litania, mentre la musica è
un lieve sottofondo scosso di tanto in tanto da improvvise
distorsioni di chitarra.
Red House Painters –
Down Colorful Hill (1992). Nati
nel 1989 a San Francisco, i Red House Painters sono la band nella
quale ha militato Mark Kozelek, noto in seguito anche per la carriera
solista e per il progetto Sun Kil Moon. Il loro esordio, Down
Colorful Hill,
è un tributo alla mestizia e al dolore. La voce profonda di Kozelek
si staglia al di sopra di un tappeto sonoro dall'incedere marziale,
mentre l'atmosfera crepuscolare non concede spiragli di luce. I testi
ci parlano di amori tormentati (Medicine
bottle),
di rapporti interpersonali problematici (Lord
Kill The Pain),
di lontananza (Japanese
To English)
o di lutti (Michael),
ma non c'è rabbia ad esprimere il tormento dell'animo umano di
fronte all'ineluttabilità degli eventi, soltanto una tormentata rassegnazione.
Idaho
– Year After Year (1993). Originari della California, Gli Idaho
sono stati attivi dal 1992 al 2011 (anno al quale risale il loro
ultimo album, You Were A Dick) e Year After Year,
edito nel 1993, è il loro primo disco. La voce mesta
di Jeff
Martin tratteggia storie di desolazione quotidiana mentre le
chitarre, con la loro profusione di arpeggi, feedback e riverberi,
fanno da degna cornice alla narrazione.
Low
– I Could Live In Hope (1994).
I Low vengono dal Minnesota, si sono formati nel 1993, hanno
pubblicato l'ultimo disco (The Invisible Way) nel 2013 e sono tuttora in attività. Il suono di questo loro debutto
si presenta scarno e ridotto all'osso, con un basso ipnotico, una
chitarra appena accennata e una batteria ridotta all'essenziale,
mentre le voci di Alan Sparhawk
e Mimi Parker sono
un flebile sussurro. Il tutto contribuisce a dare all'opera una certa
compattezza, tanto che i brani scivolano l'uno nell'altro fino a
creare un ipnotico flusso di coscienza. Non ci sono distorsioni,
cambi di tempo o sferzate improvvise e tutto procede come sospeso in
una dimensione al di là del tempo e dello spazio.
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